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lunedì, Dicembre 4, 2023
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Check up Mezzogiorno, rincorsa continua

di Ernesto Pappalardo*

Per la prima volta dopo molti trimestri, rallenta la natalità delle imprese. Cala anche il numero di quelle giovanili (-3,6% nei primi tre mesi del 2019 rispetto all’anno precedente) e di quelle femminili (-0,2%), in maniera più accentuata rispetto alla media nazionale.

Il meridione? Rallenta e si assopisce. L’immagine emerge dal “Check up Mezzogiorno” di luglio elaborato da Confindustria e SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno, che “mostra un sud del paese che, nei primi mesi del 2019, vede affievolire la sua capacità di spinta, e i segnali di frenata, già ampiamente visibili a fine 2018, rischiano di diventare veri e propri arretramenti”. Se si scende a vedere che cos’è che non funziona, ci si rende conto che Pil, occupazione e imprese segnano il passo, mentre continua la crescita dell’export. Nel breve periodo si registrano alcuni segnali negativi: una quota più ampia di Pmi di capitali vede peggiorare il proprio merito di credito; tornano ad aumentare, nel primo trimestre 2019, i giorni di ritardo dei pagamenti tra imprese; crescono nel 2018 i fallimenti, così come le liquidazioni volontarie; calano gli investimenti pubblici nelle regioni meridionali, in confronto alla spesa pubblica in conto capitale pro capite del centro-nord che torna ad essere, nel 2017, di quasi 500 euro più elevata di quella del Mezzogiorno.

L’economia meridionale rallenta

Ma proviamo a leggere meglio. L’Indice sintetico dell’economia meridionale, elaborato da Confindustria e SRM, “continua la sua risalita, ma con sempre maggiore lentezza”. Nel 2018, l’Indice “fa registrare una crescita di circa 10 punti su 500 (che equivale ad una crescita percentuale del 2%), di 1/3 inferiore a quella registrata nel corso dell’anno precedente. Con il ritmo lento dello scorso anno, saranno necessari ancora 3 anni solo per tornare ai valori del 2007”. E ancora: “Nel corso del 2018, tutti e 5 gli indicatori che compongono l’Indice fanno segnare un piccolo miglioramento, che si fa tuttavia sempre più lieve, in particolare con riferimento al Pil, all’occupazione e alle imprese, mentre continua la crescita dell’export”. La fiducia delle imprese manifatturiere “si mantiene su valori elevati (e migliore della media delle altre ripartizioni), ma i primi mesi del nuovo anno fanno tuttavia registrare, per più di un indicatore, una vera e propria inversione di tendenza”.

In calo anche le imprese giovanili

Per la prima volta dopo molti trimestri, rallenta la natalità delle imprese: “le imprese attive, al I trimestre 2019, sono meno più 1milione e settecentomila, esattamente come un anno fa. In particolare, in Puglia ci sono oltre 1.500 imprese in meno, con un -0,4% che rappresenta il dato peggiore della ripartizione. Cala anche il numero delle imprese giovanili (-3,6% nei primi tre mesi del 2019 rispetto all’anno precedente) e di quelle femminili (-0,2%), in maniera più accentuata rispetto alla media nazionale”. Prosegue “la modificazione della struttura produttiva dal punto di vista della forma giuridica: le imprese di capitali al Sud sono ormai quasi 330mila, con una crescita del 5,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, che equivale a circa 20 mila nuove imprese di capitali in più”. Continua a crescere il numero delle imprese che aderiscono ad un contratto di rete: “sono oltre 8 mila al Sud, poco meno di 1/3 delle quali in Campania”.

Le esportazioni del Mezzogiorno

Nel 2018 le esportazioni delle regioni del Mezzogiorno fanno registrare un positivo +5,5%, “portando il valore complessivo delle merci esportate vicino ai 50 miliardi di euro: nell’anno trascorso, l’andamento delle principali province esportatrici (da 500 milioni di euro in su), mostra per tutte le province (tranne Bari) delle variazioni positive. I primi mesi del 2019 fanno, viceversa, segnare una brusca frenata dell’export manifatturiero, con un calo del 3,2% rispetto al I trimestre 2018, a fronte di una crescita del 2,5% nel Centro-Nord”. A penalizzare le regioni meridionali “è soprattutto la flessione dell’export di coke e prodotti raffinati, in diminuzione del 21% rispetto al I trimestre 2018, solo parzialmente compensata dall’andamento dell’export di mezzi di trasporto (+4,5%), prodotti alimentari (+5,1%) e soprattutto dalla farmaceutica, che mette a segno un lusinghiero +18%”. Crescono “in particolare le esportazioni verso i Paesi Ue non appartenenti all’eurozona (tra cui il Regno Unito), verso gli Stati Uniti e verso i Brics, mentre cala soprattutto l’export verso i Paesi dell’Area Med. Cosicché si modifica anche la composizione settoriale dell’export del Mezzogiorno nel medio periodo”. L’export di prodotti alimentari “aumenta tra il 2007 e il 2018 di oltre 2 miliardi di euro (+71,9%), come pure in aumento è il peso di mezzi di trasporto e prodotti della meccanica; cala, viceversa, il peso dei settori come il tessile e il chimico”. Lo stop & go che caratterizza l’export meridionale “costituisce anche un vincolo oggettivo all’espansione delle imprese del Mezzogiorno, stanti i limiti di cui il mercato domestico continua a soffrire: restano, infatti, elevati i divari interni in termini di potere d’acquisto, che si traducono in minori consumi (circa 800 euro pro capite in meno nelle regioni del Mezzogiorno rispetto a quelle del CentroNord)”.

Edilizia e turismo, l’analisi

I valori delle compravendita di abitazioni, “di 1/4 inferiori a quelli medi del Paese, confermano la ridotta capacità economica dei territori meridionali”. Consolida “in maniera decisa, la sua tendenza positiva il cosiddetto export turistico, ovvero il contributo del turismo estero all’economia meridionale. I turisti stranieri che hanno visitato il Mezzogiorno nel 2018 sono stati il 14% in più dell’anno precedente, superando 13 milioni di presenze: particolarmente significativa è la crescita in valore assoluto delle presenze straniere in Sicilia (oltre 800 mila in più). Analogamente, cresce (+6,8%) la spesa dei turisti stranieri al Sud, superando di slancio quota 6 miliardi di euro”. L’andamento degli occupati “mostra elementi positivi mescolati a quelli negativi, con questi ultimi che prevalgono nei mesi più recenti. Se rispetto ai valori di un anno fa l’occupazione al sud registra una crescita più sostenuta (+1%) di quella registrata nel centro-nord (+0,5%), il calo del I trimestre (-2,2%), complice un ritardato avvio del nuovo bonus occupazione (che potrebbe aver scoraggiato le assunzioni nel primo trimestre) e una congiuntura non favorevole, suscita preoccupazione”. Il primo trimestre 2019 “è infatti il terzo trimestre di fila a far segnare, al Sud, un valore negativo (sebbene non destagionalizzato): cosicché, gli occupati nel Mezzogiorno tornano sotto la soglia dei 6milioni, con un calo (rispetto a un anno fa) nella maggior parte delle regioni, tranne Molise, Puglia e Sardegna”.

Disoccupazione, 1 giovane su 2 non lavora

I disoccupati “sono circa 1milione e 500mila, mentre molti di più sono gli inattivi, se è vero che il tasso di attività si ferma al 54%, e quello di occupazione al 43,4%”. Resta “particolarmente elevata la disoccupazione giovanile, che raggiunge al Sud il tasso record del 51,9%: in pratica, più di un ragazzo meridionale su due non lavora. Sono circa 1 milione e 200mila quelli di loro che non studiano e non lavorano. L’emergenza lavoro per i giovani, che caratterizza la fotografia del Mezzogiorno negli ultimi anni, non accenna, dunque, a ridursi, sebbene solo ¼ circa delle domande di reddito di cittadinanza presentate facciano riferimento a persone di età inferiore a quarant’anni”. A penalizzare il dato degli occupati meridionali “è l’andamento dell’agricoltura (-20mila occupati) e quello delle costruzioni (-33mila), mentre in lieve incremento sono gli occupati nell’industria (+1,7%). Il 59% degli occupati meridionali ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 65% del centro-nord. I segnali di frenata sono peraltro confermati anche dalla moderata ripresa della Cassa Integrazione Straordinaria, che torna a salire nei primi mesi del 2019, sia pure restando lontana dai picchi del 2014 e 2015”.

Il Pil frena

Frena “anche il Pil nel 2018, che secondo le stime preliminari dell’Istat, fa registrare nel Mezzogiorno una crescita dello 0,4%, meno della metà del +0,9% della media nazionale e ben al di sotto del +1,4% del nord-est”. Resta “pertanto invariato il divario del Pil per abitante, che al Sud (con 17.320 euro) si mantiene attorno al 65% della media italiana, lontano dai 31.096 euro procapite del Centro-Nord”. A livello regionale, “si registrano movimenti limitati del Pil procapite, che cresce in Abruzzo, Campania, Calabria, mentre cala in tutte le altre regioni, e soprattutto in Molise”. Il valore aggiunto del Mezzogiorno “è generato per il 78% dal settore del terziario, mentre più contenuto è l’apporto dell’industria in senso stretto (poco meno del 10% del totale): questo è tuttavia il settore che fa registrare la maggiore crescita nel breve periodo (+7,4% tra il 2016 e il 2017): una crescita che tuttavia non è sufficiente a recuperare i livelli di attività economica pre-crisi, come mostrano anche i consumi di energia elettrica, che non solo sono del 27% inferiori alla media nazionale, ma anche del 10% più bassi di quelli del 2007”. Un “contenuto aumento del valore aggiunto, unito ad un limitato aumento degli occupati mantiene la produttività delle regioni meridionali ad un livello pari al 77% di quello del Centro-Nord”.

(Fonte: Check Up Mezzogiorno/luglio 2019)

*direttore Salerno Economy

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