Scopri la storia di Francesca Salerno e di Casa di Baal!
La prima volta che abbiamo conosciuto Francesca Salerno e la sua famiglia di olivicoltori e vitivicoltori, beh si, eravamo tutti più giovani. Loro erano concentrati sul logo aziendale, noi curiosi di raccontare un’altra realtà di contadini che facevano dell’amore per la terra una ragione di vita. Oggi – e siamo orgogliosi di averli scoperti – capiamo che avevamo visto giusto. Vi presentiamo, dunque, Casa di Baal.
L’unione è la forza di Francesca Salerno
La cura anche del più minimo particolare è per Francesca Salerno e i suoi ancora la molla che li fa svegliare ogni mattina. Da papà Annibale a mamma Anna, figli compresi. Oltre a Giusi, Laura, Nadia e Mario, da qualche anno si è aggiunta anche Francesca. E lei dell’azienda all’inizio proprio non voleva saperne e invece da tempo è in prima linea a fronteggiare difficoltà e cimentarsi in nuove sfide.
Un logo che parla
Già il nome (oltre che l’elefantino dell’immagine aziendale) ne è una conferma perché ricorda il pater familias che ancora tiene in mano le redini di tutto. Ed è un omaggio al generale cartaginese anche se, nonostante l’attaccamento alla tradizione, resta forte la voglia di innovazione. Tant’è vero che negli ultimi anni c’è stata un’apertura non solo al biologico ma anche al biodinamico. Ed è festa grande quando si raccolgono i frutti per mettere sul mercato prodotti sempre eccellenti.
I valori del successo di Francesca Salerno
Siamo nel cuore delle colline salernitane. Parliamo di una realtà dove il valore aggiunto è da sempre il sacro valore dell’attività instancabile associata ad un ossequioso rispetto per la natura e le sue creature. Davanti al lavoro non si tirano indietro neppure generi e nuore, alla vecchia maniera delle famiglie patriarcali del sud. Ed è bellissimo constatare che i sacrifici fatti ogni giorno ottengono soddisfazioni.
Il timone è rosa
Anche se a capo dell’azienda formalmente ci sono sempre i genitori, Francesca Salerno è ormai operativa al 100%. Dopo anni passati a fare consulenze aziendali, l’imprenditrice ha deciso di mettere in pratica ciò che aveva studiato per sé e i suoi e i risultati non sono tardati a venire. Il suo racconto è scandito da intercalari dai quali traspaiono grande dedizione oltre che voglia di comunicare cioè che sono e fanno.
I prodotti di Francesca Salerno
Olio (ovviamente extravergine) e vini, ma anche ortofrutta nonché allevamento di animali di bassa corte e suini. “Innanzitutto lavoriamo solo uve di nostra produzione – assicura Francesca Salerno – e ne siamo fieri anche perché tutte le fasi avvengono azienda, dalla raccolta alla trasformazione e all’imbottigliamento. Ci dedichiamo con passione ad ogni passaggio cercando di dare sempre il massimo per ottenere una grande qualità”. E ai quattro vini storici da qualche tempo si è aggiunto un ultimo nato.
Ci riferiamo all’Oro di Baal. Che Francesca Salerno presenta con dovizia di particolari. “E’ un Fiano lavorato col metodo classico e proviene da una raccolta molto anticipata delle uve che di solito facciamo subito dopo Ferragosto. Viene affinato in acciaio per una decina di mesi, poi tra febbraio e marzo è messo in bottiglia dove resta circa un anno. Il passaggio successivo è la sboccatura e, trascorsi altri sei mesi, si commercializza”.
Oltre all’evo a marchio “L’Oliveto” ricavato dalle cultivar Rotondella, Frantoio e Leccino e prodotto da 10mila piante di cui da sempre si occupa in prima persona l’unico figlio maschio di Annibale, Mario, ecco gli altri vini. Base Aglianico al 60% con Barbera, Merlot e Sangiovese per il Rosso di Baal (adatto a tutto pasto), mentre base Fiano al 50% con Moscato e Falanghina per il Bianco (di pronta beva, oltre che molto profumato), e questi sono due blend; poi ci sono l’Aglianico e il Fiano, entrambi in purezza.
Il primo è l’ultimo ad essere lavorato, fermenta in acciaio e poi fa passaggi in legno (massimo 3 in tonneaux di media grandezza di rovere francese), quindi almeno un anno e mezzo in bottiglia prima di essere commercializzato; il secondo invece viene vinificato e affinato in acciaio sulle proprie fecce per 9 mesi, quindi affinato almeno per 6 in bottiglia e alla fine il risultato è un vino che si fa di sicuro ricordare.
Uno sguardo al futuro
Lo sguardo da tempo si è allargato oltralpe. Inghilterra, Germania e Danimarca sono stati affiancati da sortite negli States e in Giappone dove questi vini incontrano un sempre crescente consenso tra i consumatori. Teniamoli d’occhio e ne vedremo delle belle. Ad maiora, intanto!