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lunedì, Dicembre 4, 2023
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Pappalardo: “Food e crescita territoriale”

Territorio come laboratorio di sviluppo sostenibile e filiere asimmetriche, due concetti di cui si discute da tempo ma talvolta senza averne una nozione precisa e, quel che è peggio, si rischia di non attribuire il meritato valore alle potenzialità di un’area. Ne parliamo con Ernesto Pappalardo, direttore della testata on line di informazione economica Salernoeconomy, che ci spiega come, quanto e quali sistemi di filiera potremmo avviare nel Mezzogiorno per favorire la rinascita del nostro sud. Partiamo dalla certezza che l’agricoltura e quindi il settore food in particolare, la trasformazione delle produzioni e le varie tipologie di turismi rappresentano, secondo il Censis, un’occasione irripetibile per avviare processi virtuosi di benessere sociale per il territorio…

R. “Esattamente, da anni l’alimentazione è diventata centrale nell’ambito dei nuovi stili di vita e nella spesa delle famiglie. E non mi riferisco solo a chi può spendere perché, anche quando non ci sono le migliori condizioni per privilegiare l’acquisto di cibo di elevata qualità, si tende a ridurre i volumi pur di entrare in contatto con il meglio presente sugli scaffali. E lo dimostrano anche i numeri del bio”.

D. Siamo nel pieno di un cambiamento epocale, quindi, vero?

R. L’approccio culturale al cibo è migliorato e ha determinato nuove prospettive ed opportunità di crescita economica. E il concetto chiave è la necessità di legare tra di loro vari ambiti di produzione e di servizi che hanno in comune la rielaborazione del concetto di territorio come vero e proprio laboratorio di sviluppo sostenibile.

D. Una grande opportunità di rilancio dell’economia anche per i giovani…

R. Ci sono molti altri segnali che avallano questa impostazione ed innanzitutto la riscoperta dell’imprenditorialità agricola da parte degli “under 35” che consolida il convincimento che la terra non è più sinonimo di lavoro povero ma di nuova frontiera per restare al sud e realizzarsi.

D. E’ necessaria una sinergia tra pubblico e provati per realizzare tutto questo?

R. Mettendo insieme i vari “pezzi” del mutamento in atto gli orizzonti si aprono se tutti i soggetti, pubblici e privati, creano la “rete” anche in termini di contrattualità vantaggiosa attualmente già disponibile per definire nuove alleanze di territorio con un unico standard di riferimento: il grado di attrattività in base alla qualità diffusa che si è in grado di esprimere…

D. Può essere più preciso…

R. “Mi riferisco alla qualità della vita, non solo per i turisti ma anche per i residenti, che che si traduce in fondamentale attenzione all’efficienza del ciclo dei rifiuti e delle acque o al monitoraggio dell’impatto ambientale delle attività produttive; manutenzione e recupero dei giacimenti culturali, artistici e paesaggistici; valorizzazione dei patrimoni enogastronomici; compatibilità delle coltivazioni e molto altro ancora”.

D. Non è una partita semplice da giocare, però.

R. E’ tra le più insidiose perché si scontra con una serie di rendite di posizione incrostate da decenni nel tessuto socio-economico e politico delle nostre regioni meridionali. Ma, a pensarci bene, è anche l’unica battaglia che può davvero partire dal basso visto che c’è un esercito di “under 35” che ci ha messo la faccia scegliendo di rimanere al sud investendo nell’agricoltura intelligente, innovativa, l’unica capace di vincere sui mercati più esigenti del centro e del nord Europa come è accaduto, ad esempio, nella Piana del Sele, esempio globale di sperimentazione (quarta e quinta gamma, ndr) nel segno della più genuina e salutare qualità.

D. Quindi la scelta obbligata si chiama coesione sociale, giusto?

R. I territori si sfidano sulla strategicità che non è soltanto uno slogan facile per catturare consenso politico. L’unico capitale su cui si può e deve investire quello sociale/relazionale che significa stimolare e accompagnare la costruzione di reti virtuose locali in grado di intercettare i grandi flussi di produzione della ricchezza a livello internazionale.

D. Tutto questo, però, ripartendo dal basso…

R. “Ovviamente si, privilegiando la logica dell’inclusione che, naturalmente, si traduce in rafforzamento delle dinamiche di coesione. Senza dialogo non si va da nessuna parte, si perdono per strada “pezzi” importanti di consenso sociale e solo così si può attraversare il confine che separa il concetto di comunità da quello di isolamento individuale.

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