di Daniela Pastore
Cucina monastica o conventuale, da ieri ad oggi un patrimonio inestimabile da scoprire. Sono sapori, odori e segreti di una tradizione secolare e di un’ospitalità che da secoli rappresentano gli ingredienti fondamentali della cucina dei monasteri, una proposta semplice che si esalta nella condivisione e nella sua dimensione conviviale.

Chi ha fatto visita alla cucina della Certosa di San Lorenzo di Padula avrà capito di sicuro perché diversi studiosi affermano che l’arte culinaria europea e la relativa educazione alla tavola hanno avuto origine tra le mura dei monasteri e delle abbazie medioevali. Queste, infatti, sono le prime comunità ad occuparsi del senso e dello scopo dei cibi,svolgendo la doppia funzione di ospedale e di ricovero. La medicina era cosa del clero e gli scriptoria rappresentavano i baluardi della ricerca. Poveri, malati, principi, laici, ecclesiastici, commercianti e pellegrini bussano frequentemente alle porte dei monasteri in cerca di ospitalità e aiuto. Le locande sono infatti rare. Indispensabile per conventi ed abbazie è avere dispense ben fornite, il cui approvvigionamento arriva sia dalle proprietà terriere che dalle decime del contado. In queste piccole isole autonome si sviluppano quelle tecniche agricole, mediche e alimentari che danno vita alle cucine locali.
Ma cosa mangiavano i monaci?
In cosa consiste l’alimentazione giornaliera dei monaci? Cominciamo col dire che la Regola di San Benedetto prevede un pasto al giorno e alla sera una leggera collazione. Però, già dal IX secolo, le quantità di cibo consumate diventano notevolmente superiori rendendo più elastica la Regola che precisa: “Noi rimettiamo al giudizio e al potere dell’abate di aggiungere qualche cosa se è il caso”. Nei giorni di festa gli alimenti a disposizione del monaco aumentano ancora: di un quarto i cibi, della metà le bevande e, anche se sono contemplati momenti di digiuno e giorni dediti al mangiar di magro, in alcuni monasteri il numero delle ricorrenze raggiunge quota 156 per onorare, oltre alle classiche feste religiose, anche i patroni locali.
La nascita dei primi ricettari
Ma nelle comunità monastiche da chi sono ricoperti i vari ruoli? Abati e badesse sono nobili, mentre la cura dei campi, delle cantine e delle stalle viene affidata ai fraticelli e ai semplici laici. A cucinare pensano monaci e monache che sanno rielaborare le indicazioni dietetiche rintracciate nei vecchi manoscritti. Nascono così i primi appunti e le prime raccolte di ricette.
La cucina salutare dei monasteri
I monasteri, per far fronte al loro impegno spirituale e di assistenza medica, sviluppano però, quasi automaticamente, una sorta di cucina salutare. Gli orti ricchi di spezie, erbe medicinali ed ortaggi, assieme a vigneti e stagni, sono importanti fonti di risorse alimentari. Le conoscenze degli effetti salutari delle erbe, confluiscono progressivamente nella cucina quotidiana e diventa abitudine somministrare medicine con il cibo. Le pietanze di solito insipide, quindi, acquistano in sapore e è proprio questo effetto secondario, molto apprezzato, che fa scoccare la scintilla creatrice dell’arte culinaria. Fortunatamente, molte ricette conventuali sono sopravvissute al tempo e rappresentano un vademecum storico che racconta conoscenze e arti della dispensa, della cucina e della mensa dei frati e delle suore grandi esperti di coltivazione, ritmi stagionali dell’orto, scelta di materie prime e sana convivialità. A noi il piacere di scoprirle ed inserirle nei nostri menù familiari sapendo di arricchirli in tal modo di genuinità e spiritualità.